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Storie di mostri in Romagna

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Durante l’ultima settimana di ottobre, di solito, i turisti e i visitatori amano partecipare ai tour guidati che trattano di storie “truculente” e misteriose: fantasmi, sepolture, delitti, eventi inspiegabili… Oggi vogliamo raccontarvi alcune storie di mostri in Romagna, in particolare quella del mostro di Ravenna

Halloween in Romagna

Del resto, la festa di Halloween, che risale a un’origine irlandese, viene spesso criticata perché considerata una moda importata solo di recente dagli Stati Uniti. In realtà si tratta di una tradizione che in Romagna si perde nella notte dei tempi. Infatti, la sera di Ognissanti, cioè alla vigilia del 2 novembre vi era l’usanza di allestire la casa in attesa del ritorno dei defunti che, per una notte, facevano visita ai congiunti. Si lasciava la tavola apparecchiata per loro, si accendeva una candela per guidarli nell’oscurità e si preparavano i letti con lenzuola pulite per consentire loro un fresco riposo tra le mura domestiche. La mattina dopo ci si recava in chiesa e si raccoglievano delle offerte in cibo da donare ai poveri; questi ultimi offrivano in cambio una preghiera ma, se non avessero ricevuto nulla, avrebbero augurato la cattiva sorte ai reticenti (forse un gesto antenato del nostro “dolcetto o scherzetto”?).

Naturalmente, non potevano mancare personaggi spaventosi che solleticavano l’immaginario collettivo, come il Mazapégul , una sorta di folletto dispettoso, conosciuto soprattutto nella zona di Forlì, la Piligrèna ovvero una fiammella o fuoco fatuo identificato spesso con un fantasma che emergeva dalle tombe del cimitero oppure la Borda, spettro malevolo delle paludi, che spaventava moltissimo i bambini, questi sono solo alcuni dei più famosi mostri in Romagna.

Mostri in Romagna: Il mostro di Ravenna

Anche Ravenna può annoverare una leggenda terrificante, legata al cosiddetto Mostro di Ravenna. Questo è sicuramente uno dei mostri in Romagna più terrificante. Si narra che il giorno 8 marzo 1512 fosse nata una creatura eccezionalmente deforme, frutto di una relazione clandestina tra una monaca e un frate. Ovviamente questa unione non poteva che suscitare la ferma disapprovazione divina, che aveva punito in maniera così terribile gli sventurati e blasfemi genitori.

La creatura orrenda era descritta in varie maniere dalle cronache dell’epoca: un essere a due zampe, ma a volte con una zampa sola, con le squame sulle cosce (o sull’unica coscia, a seconda della versione), dotato di ali di pipistrello al posto delle braccia, con un terrificante corno sulla testa e un terzo occhio su un ginocchio, il petto costellato dalle lettere dell’alfabeto YXV, i genitali ermafroditi ed altre amenità del genere.

Diversi cronisti dell’epoca avevano descritto il mostro, ognuno di loro arricchendo i racconti con le descrizioni più disparate; in questo modo la leggenda di questo essere così terribile aveva subito varcato i confini regionali e nazionali e si era mantenuta viva anche nei decenni a seguire. Gli scritti erano corredati di disegni che mostravano le deformità narrate perciò possiamo trovare testimonianze sia da autori ravennati come Girolamo Rossi, uno storico del XVI secolo, ma anche da parte di scrittori in Spagna, Francia, Germania, a Basilea come a Parigi, e così via suscitando perfino l’interesse del celebre naturalista bolognese Ulisse Aldrovandi, da sempre collezionista di curiosità, piante e animali esotici. Tutti volevano sapere, tutti volevano conoscere la storia del Mostro di Ravenna.

Il papa di allora, Giulio II, al secolo Giuliano della Rovere, aveva disposto che il neonato venisse

Immediatamente abbandonato in pineta, poiché non poteva tollerare che questo essere ripugnante potesse sopravvivere, quale testimonianza del peccato che si era consumato all’interno della chiesa ravennate.

Inoltre, si riteneva che l’apparizione di questa creatura orribile fosse di cattivo auspicio ossia che rappresentasse l’annuncio di una disgrazia che si sarebbe verificata presto in città.

La battaglia di Ravenna

E infatti… Poco più di un mese dopo, esattamente la domenica di Pasqua, 11 aprile 1512, si svolse nei pressi di  Ravenna lungo la riva del fiume Ronco, la battaglia di Ravenna, uno degli scontri più cruenti dell’età moderna, il primo a vedere l’utilizzo delle artiglierie pesanti. Venne per questo chiamata la “Pasqua di Sangue” e vide contrapporsi la Lega Santa, composta dalle truppe dello Stato Pontificio, della Repubblica di Venezia, della Spagna e della Svizzera contro quelle del Regno di Francia e del Ducato di Ferrara. Tra i 40 o 45 mila soldati che si fronteggiavano si contarono molte vittime (si dice tra i 5.000 e i 20.000  morti!) tra cui il condottiero francese Gaston de Foix, duca di Némours e nipote del re Luigi XII, vincitore del conflitto ma caduto in battaglia. L’eco dello scontro e dei suoi effetti devastanti venne ricordato per anni, tra gli altri anche da Ludovico Ariosto che, nel suo ruolo di poeta di corte e presente sul campo di scontro, aveva potuto constatare la potenza e l’efficacia dei cannoni di Alfonso d’Este. Da quel giorno le arti della guerra cambiarono completamente la loro modalità, divenendo sempre più brutali.

A questa vittoria da parte dei francesi e degli estensi seguì un terribile saccheggio: le truppe entrarono in città, riuscendo a oltrepassare le mura presso la Porta San Mama e la devastarono per vari giorni, durante i quali, oltre al sacco di oggetti preziosi, si aggiunsero le innumerevoli violenze che vessarono la popolazione.

Colonna dei francesi in testimonianza della battaglia

La testimonianza tangibile del luogo in cui si svolse la battaglia è ancora oggi visibile lungo l’argine destro del fiume Ronco, vicino all’abitato di Madonna dell’Albero. Si tratta della Colonna dei Francesi, una scultura commissionata nel 1557 (o forse nel 1562) dal cardinale Pietro Donato Cesi, vescovo di Narni e presidente della Legazione di Romagna, e oggetto di un recente restauro, in occasione dei cinquecento anni dallo svolgimento della battaglia.

La stele intende commemorare i caduti di entrambe le fazioni. È composta da un pilastro a base quadrata, sormontato da un capitello ionico su cui poggiano un dado e una sfera: la forma, quindi, vuole essere un’imitazione dell’impugnatura di una spada, conficcata in quel terreno che ha visto scorrere tanto sangue sia da una parte dell’esercito che dall’altra.

La colonna è decorata da bassorilievi che raffigurano arabeschi, delfini, festoni, ovali, fiori, frutti e teste di animali ed è arricchita da iscrizioni in latino, che restituiscono la data e la descrizione della battaglia e del saccheggio che ne è seguito. Vi sono diversi rimandi all’acqua, dati da figure di animali acquatici, da mostri marini e da onde. Due mascheroni, emblemi di tritoni con una lunga barba che si trasforma in vegetazione, rimandano al territorio ravennate, probabili richiami ai due fiumi, il Ronco e il Montone, che circondavano la città, e alla campagna teatro del campo di battaglia.

Gli altri motivi decorativi presenti sulle quattro facce del pilastro, costituiti da composizioni di coppe, anfore, vasi antichi e identificati come candelabre, derivano dalla cultura artistica classica imperiale. In particolare, fin dalla metà del ‘400 alcune di queste decorazioni venivano ammirate su sei elementi in marmo custoditi presso la Basilica di Santa Agnese fuori le mura a Roma e riprodotte dagli artisti durante tutto il Cinquecento, come dimostrano alcuni studi, disegni e bozzetti eseguiti all’epoca. Vennero introdotte in Romagna dalla metà del Quattrocento ed utilizzate, qui come altrove, per ornare elementi architettonici, molti dei quali aventi una funzione funebre, ma anche rese in pittura nelle tavole e negli affreschi.

Inoltre, si trovano le rappresentazioni di elmi, scudi e pugnali, elementi presenti anche nel monumento funebre dello sfortunato vincitore della battaglia, il condottiero Gastone de Foix, scolpito dall’artista Agostino Busti, detto il Bambaia, subito dopo la sua morte e collocato a Milano presso il Castello Sforzesco.

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Foto della colonna dei francesi a Ravenna – di Serena Zecchini

La religione e i simboli

Non mancano riferimenti legati alla religione cristiana e al sacrificio eucaristico.

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È interessante notare che sulla superficie sono presenti anche delle decorazioni di evidente carattere simbolico che, secondo il gusto dell’epoca, privilegiava un certo ermetismo, quindi difficilmente leggibili ed interpretabili da coloro che non facevano parte delle élite culturali umanistiche del Cinquecento che, al contrario, sapevano comprendere alla perfezione le allegorie illustrate.

Anche se la Colonna dei Francesi era stata deliberatamente dedicata ai morti di quella battaglia, alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che vi fosse un’ulteriore motivazione per cui il cardinale Cesi avesse deciso di far erigere il monumento. Il suo intento, infatti, sarebbe stato quello di celebrare la fine della guerra civile e della conseguente conclusione delle faide tra guelfi e ghibellini ravennati, giunta negli anni Sessanta del Cinquecento grazie alla mediazione dell’ecclesiastico. Infatti, mentre sulla colonna non figura alcuna insegna papale, sono presenti invece quelle del committente, fautore della pace desiderata. Il massiccio pilastro in pietra doveva sottolineare le alte qualità e le virtù del prelato e benefattore della città, proprio perché il suo nome di battesimo era Pietro, quindi identificabile come la “pietra angolare” che poteva sostenere le ambizioni di pace e di unione delle varie fazioni.

Che fine ha fatto il mostro di Ravenna?

E il nostro Mostro di Ravenna? La leggenda vuole che, nonostante il suo abbandono in pineta, riuscì a sopravvivere e che, inaspettatamente, si presentò sul campo di battaglia, per godere dello spettacolo offerto dalle truppe avverse che si stavano massacrando incessantemente con le nuove armi da combattimento.

Si racconta anche che venne visto sulle mura della città, appagato dalla visione del dramma operato dalle milizie che distruggevano palazzi e chiese, demolivano abitazioni, causavano incendi, uccisioni, stupri, rapimenti, procedevano con furti nelle chiese e nei monasteri e annichilivano la popolazione, in una sorta di vendetta per il crudele trattamento che aveva subito solo un mese prima.

Insomma, storie di mostri in Romagna proprio non mancano e la nostra Serena Zecchini ci ha omaggiato di questo esaustivo articolo su una storia che ancora oggi mette i brividi!

Buon Halloween a tuti voi e se siete nei paraggi…attenti ai mostri in Romagna!

Chi è Serena Zecchini?


Vive e lavora a Ravenna. È laureata con Lode, sia nel corso di Laurea Triennale in Beni Culturali che nel corso di Laurea Magistrale in Beni Archeologici, Artistici e del Paesaggio: Storia, Tutela e Valorizzazione, presso l’Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna.

Ha conseguito l’abilitazione alla professione di guida turistica nel 2013.

Ha collaborato alla stesura della guida “Incontro a Dante. Percorsi guidati alla scoperta della Ravenna del Sommo Poeta”, SBC Edizioni, 2020, con un itinerario dedicato alla Ravenna trecentesca, al tempo di Dante Alighieri.

Appassionata di storia dell’arte, è sempre alla continua ricerca di informazioni di carattere storico e artistico, di aneddoti e di notizie curiose e insolite, relative alla propria città.

Ama viaggiare, visitare mostre, musei e siti archeologici, leggere e ascoltare musica.

Lingue parlate: italiano, inglese, francese

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