A Ravenna ci sono luoghi culturali veramente molto interessanti e degni di nota che sono purtroppo ingiustamente trascurati dai cittadini e dai turisti in visita alla città come il Museo Nazionale di Ravenna.
La presenza degli strabilianti otto monumenti dichiarati Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco e del Sepolcro di Dante Alighieri mettono in ombra alcuni gioielli appartenenti alla città romagnola, così ritengo che sia giunto il momento di descriverli e portarli all’attenzione dei lettori di questo blog.
Uno dei luoghi del mio cuore è il ricchissimo Museo Nazionale di Ravenna, che si trova nel complesso monumentale di San Vitale, precisamente presso i chiostri dell’antico monastero adiacente alla basilica e che conserva alcune collezioni di notevole interesse storico e artistico.
Sicuramente le cose da vedere a Ravenna sono tante ma vi invito a venire a visitare il museo, per chi abita in Romagna, o a soggiornare una notte in più in città, per chi arriva da più lontano, per non perdervi questo straordinario luogo!
LA STORIA DEL MUSEO NAZIONALE DI RAVENNA
Già il “contenitore” è ricco di storia, poiché il sito da cui è ricavato il museo Nazionale di Ravenna ha origine nell’anno 999, quando l’imperatore Ottone III dona all’abate Giovanni lo spazio circostante la basilica di san Vitale (del VI secolo) affinché possa essere costruito il monastero di regola benedettina. Dopo aver visto diverse fasi architettoniche, succedutesi nei secoli successivi, il monastero viene soppresso il 22 agosto 1798, con l’arrivo delle truppe francesi di Napoleone.
Per quanto riguarda il “contenuto”, invece, un primo nucleo della collezione era già stato raccolto nel corso del Settecento dall’abate Pietro Canneti presso il monastero di Classe, oggi Biblioteca Classense, anch’esso soppresso alla fine del XVIII secolo e divenuto di proprietà del Comune di Ravenna, per cui i numerosi oggetti collezionati entrano a far parte dei beni del Museo Classense Municipale, fondato nel 1804.
Nel corso dell’Ottocento si rinvengono numerosi reperti che arricchiscono la collezione e, grazie alla riorganizzazione dello scultore ravennate Enrico Pazzi, colui che ha scolpito la celeberrima statua di Dante in piazza Santa Croce a Firenze, la raccolta museale viene sistemata negli anni 1884 e 1885 e in seguito dichiarata di proprietà statale nel 1887.
Nel 1913 la collezione viene trasferita nel complesso conventuale di San Vitale dove si trova tuttora.
Un solo articolo non è sufficiente per poter descrivere la ricchezza delle raccolte di oggetti di epoche diverse (dall’età romana al barocco) che vanno dai reperti lapidei alle placchette medievali, dagli oggetti in avorio e osso alle icone, dalle armi e armature alle ceramiche e alle monete, fino agli affreschi di epoca trecentesca.
Ho pensato così di descrivere le collezioni per argomenti, una sorta di racconto a puntate, per esplorare insieme questo splendido scrigno di tesori che non ha nulla da invidiare ai più famosi e celebrati monumenti di epoca paleocristiana.
GLI AFFRESCHI DI SANTA CHIARA
Nell’anno del Settecentenario dalla morte di Dante Alighieri, vorrei iniziare parlando degli affreschi di epoca trecentesca, conservati presso l’antico Refettorio del monastero. Mi chiedo spesso se il Sommo Poeta abbia fatto in tempo a vederli, magari durante la fase di esecuzione…
E’ noto che la famiglia da Polenta, il cui illustre rappresentante Guido Novello ha ospitato Dante negli ultimi anni della sua vita, ha contribuito al grande rinnovamento culturale che si è verificato nella città romagnola nel corso di tutto il XIV secolo. Durante questo periodo sono state decorate diverse chiese, secondo il nuovo stile che si va affermando e che deve la sua fortuna alla genialità di colui che ha rivoluzionato l’arte visiva del Medioevo, rompendo gli schemi ormai millenari dell’arte bizantina: Giotto. Su committenza della famiglia nobile ravennate diversi grandi esponenti della scuola giottesca riminese hanno lavorato presso la corte polentana. Su tutti svetta la personalità di Pietro da Rimini, un artista formatosi presso la bottega romagnola, che ha saputo cogliere l’insegnamento del maestro fiorentino e a cui sono attribuiti diversi cicli di affreschi nel territorio ravennate.
Il monastero di Santa Chiara viene fondato nel 1250 su impulso di Chiara da Polenta, (1230 c. – 1292) figlia di Geremia, e sorge sul primitivo monastero dedicato a Santo Stefano in fundamento. La costruzione della chiesa monastica è stata quasi certamente conclusa nel corso dei primi anni del Trecento, come dimostra l’architettura tipica dell’epoca, mentre la consacrazione dell’altare maggiore è avvenuta nel 1311. La maggioranza degli studiosi colloca l’esecuzione dell’imponente ciclo di affreschi in un periodo compreso tra l’inizio e la prima metà del secondo decennio del Trecento e la attribuisce a Pietro da Rimini.
Nel 1805 il convento viene soppresso, in seguito alle disposizioni napoleoniche, e nel 1823 chiesa e convento vengono ceduti a un privato che li utilizza per spettacoli equestri. Nel 1874 la chiesa diventa di proprietà del Comune di Ravenna che la adibisce a sala teatrale mentre nel 1879 gli spazi del convento vengono impiegati come caserma e successivamente modificati per ospitare il ricovero Garibaldi.
Nel 1919 il teatro viene intitolato a Luigi Rasi e conserva tuttora la medesima denominazione.
Nel 1950 gli affreschi vengono staccati e, dopo un successivo restauro, conservati ed esposti presso il Museo Nazionale.
L’APPARATO ICONOGRAFICO
Il ciclo pittorico è un evidente omaggio ai fondatori del movimento francescano e di quello delle clarisse, tanto che sia San Francesco che Santa Chiara sono raffigurati ben due volte.
Nella parete che nella chiesa era volta verso Oriente era stata inserita una grande finestra gotica che ha delimitato la superficie utilizzabile dalle maestranze della scuola riminese.
Troviamo, nel registro superiore, la scena dell’Annunciazione ambientata in uno spazio aperto, con l’Arcangelo Gabriele che avanza, con il mantello svolazzante, verso la Vergine, quasi impaurita da questo suo impeto e che appare in atteggiamento sfuggente, anche se non esita a voltarsi verso la colomba dello Spirito Santo, per accogliere la notizia.
Nella fascia inferiore della parete, separati dall’apertura della finestra, sono raffigurati i santi più importanti dell’ordine francescano: San Francesco e Santa Chiara a sinistra e Sant’Antonio da Padova e San Ludovico di Tolosa a destra.
Nella parete adiacente, che nella chiesa era posizionata verso il meridione, sono presenti le scene della Natività e dell’Adorazione dei Magi, seppur mancanti di numerose parti, probabilmente a causa di un’apertura della superficie, praticata in uno dei secoli successivi.
Nella decorazione superstite, che si trova nella fascia superiore, è raffigurato l’Arbor Crucis, l’albero da cui verrà ricavato il legno per fabbricare la Croce del martirio: in pratica la prima immagine dell’Albero di Natale!
Nel registro inferiore è particolarmente commovente il lacerto che raffigura il Bambino, nell’atto di ricevere il dono dei Re Magi, con un atteggiamento che ha completamente abbandonato la compostezza, la staticità e la ieraticità tipiche dell’arte bizantina. Infatti, si comporta proprio come un bimbo vero, contento di ricevere un regalo. Con il corpo si protende quasi con impazienza per accogliere il dono, mentre con il capo si volge verso la madre con uno sguardo desideroso: sembra quasi che voglia chiederle il permesso di accettare la strenna! Dal canto suo, Maria lo guarda con un sorriso e una tenerezza che fanno trasparire il suo sentimento materno, con un moto d’affetti totalmente sconosciuto nell’arte solo pochi decenni prima!
A destra è conservata la scena che raffigura un bellissimo Re Mago, con l’aureola posta in obliquo, come a valorizzare questa padronanza dello spazio tridimensionale che deriva dall’insegnamento del maestro Giotto, e un palafreniere che trattiene uno splendido cavallo, entrambi di mirabile fattura.
Nella parete di fronte, che quindi volgeva al nord della chiesa, le scene sono da leggere in direzione opposta rispetto alle pareti precedenti, ovvero dal basso verso l’alto. Nel registro inferiore vediamo le scene del Battesimo nel Giordano e dell’Orazione nell’Orto, ugualmente spartite dall’apertura di una finestra. Anche in questa parete, dominata dalla forma gotica di questo varco, possiamo apprezzare l’abilità tecnica di Pietro da Rimini che, anziché essere ostacolato dalla finestra, riesce a sfruttarla per realizzare un’efficace rappresentazione della Crocifissione che così sembra quasi staccata dalla parete; inoltre, è da notare che la posizione della Croce si trova esattamente in posizione speculare a quella dell’Albero di Natale.
I personaggi dolenti che assistono al martirio di Cristo risultano struggenti nella loro disperazione: la Madonna si accascia sorretta dalle Marie, Maddalena si protende con un atteggiamento angosciato verso Gesù e gli Angeli che circondano la Croce piangono desolati. Nell’altra porzione della parete San Giovanni Evangelista, l’apostolo prediletto, si straccia le vesti con un gesto e uno sguardo eloquenti. Completa la scena un soldato che indica il Figlio di Dio, con una posa che risulta in simmetria con la linea tracciata dal corpo di Maddalena.
Le meraviglie del Museo Nazionale di Ravenna non sono finite: basta alzare gli occhi al cielo per ammirare la volta, decorata da quattro vele che racchiudono i quattro Evangelisti (Luca, Marco, Matteo e Giovanni) con i loro simboli inclusi in medaglioni, intenti a ispirare gli scritti dei Dottori della Chiesa (rispettivamente San Gregorio, Sant’Ambrogio, San Girolamo e Sant’Agostino). Questa particolare composizione era già stata raffigurata nelle vele di Assisi e verrà ripetuta dai maestri riminesi a Santa Maria in Porto Fuori (oggi perduta), nel Cappellone di San Nicola a Tolentino, nelle Marche e, successivamente negli anni ’80 del Trecento, nella chiesa di San Giovanni Evangelista a Ravenna.
Qui, la particolare disposizione delle cattedre prevede un’alternanza prospettica curiosa dal punto di vista stilistico ma profondamente coerente con il messaggio che il ciclo intende comunicare.
Nell’intradosso dell’arco trionfale, che divideva il presbiterio dalla zona riservata ai fedeli, sono dipinti alla sommità i busti del Cristo, in atteggiamento benedicente, di Maria orante e di altre cinque immagini per parte, ovvero Angeli e Santi significativi per il movimento francescano. Alla base vi sono le figure intere di San Giacomo e di un altro Santo, forse un Pontefice, che però non è stato identificato.
Completano lo straordinario ciclo di affreschi due pannelli che illustrano la Lapidazione di Santo Stefano – forse un omaggio all’antica denominazione del convento – e un Santo che la critica identifica in San Sigismondo.
L’abilità tecnica di Pietro da Rimini e delle sue maestranze, così come l’uso sapiente del colore, delle tonalità calde e soffuse della materia pittorica, la capacità di trasmettere per immagini i sentimenti di stupore, gioia, dolore e compianto fanno di questo artista un degno erede del grande Giotto. Pietro ha saputo padroneggiare la tecnica e gli insegnamenti appresi dal suo maestro, ma li ha anche saputi arricchire con il suo stile personale che fanno di questo ciclo un vero capolavoro della storia dell’arte medievale.
Naturalmente la scelta iconografica delle immagini ambiva a veicolare un particolare messaggio, destinato sia ai fedeli ma anche, nello specifico, alle monache del convento…
Vi siete incuriositi? Volete vedere con i vostri occhi questo capolavoro trecentesco e saperne di più? Allora vi invito a visitare questa meraviglia!
Per maggiori informazioni riguardo il Museo Nazionale di Ravenna potete rivolgervi a Serena Zecchini: zserena@yahoo.com
Chi è Serena Zecchini?
Vive e lavora a Ravenna. È laureata con Lode, sia nel corso di Laurea Triennale in Beni Culturali che nel corso di Laurea Magistrale in Beni Archeologici, Artistici e del Paesaggio: Storia, Tutela e Valorizzazione, presso l’Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna.
Ha conseguito l’abilitazione alla professione di guida turistica nel 2013.
Ha collaborato alla stesura della guida “Incontro a Dante. Percorsi guidati alla scoperta della Ravenna del Sommo Poeta”, SBC Edizioni, 2020, con un itinerario dedicato alla Ravenna trecentesca, al tempo di Dante Alighieri.
Appassionata di storia dell’arte, è sempre alla continua ricerca di informazioni di carattere storico e artistico, di aneddoti e di notizie curiose e insolite, relative alla propria città.
Ama viaggiare, visitare mostre, musei e siti archeologici, leggere e ascoltare musica.
Lingue parlate: italiano, inglese, francese