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Cipolla dell’acqua di Santarcangelo: Slow Food

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La cipolla dell’acqua di Santarcangelo entra a far parte dell’Arca del Gusto della fondazione Slow Food. Il catalogo online nato alla fine degli anni ’90, mette in rete il patrimonio agroalimentare da salvare in ogni parte del mondo, con l’obiettivo di promuovere un modello di agricoltura basato sulla biodiversità locale, sul rispetto del territorio e della cultura locale.

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La cipolla dell’acqua di Santarcangelo

La cipolla bionda di Santarcangelo, detta anche “cipolla dell’acqua (zvòla da aqua, in dialetto) era tradizionalmente coltivata lungo la zona bassa del Marecchia, irrigata facendo scorrere l’acqua dei fossi che si dipartivano dal fiume, e che erano usati alternativamente, “a tempo” dai coltivatori e dai mugnai, i cui mulini erano numerosi in questa zona fino agli anni ’40.

Varietà precoce di Romagna in virtù della tecnica di coltivazione, per moltissimi abitanti della zona la cipolla ha rappresentato per molto tempo una forma di sostentamento: i santarcangiolesi erano chiamati “cipolloni” (“zvùléun”) dai vicini riminesi, proprio perché famosi per coltivare questa cipolla in grandissime quantità. Sul questo prodotto tipico, il gruppo “Passioninsieme” ha anche scritto il libro “La bionda di Santarcangelo di Romagna: curiosità, informazioni e ricette”.

Coltivazione della cipolla dell’acqua

L’area di coltivazione tradizionale era la zona bassa del torrente Marecchia: soprattutto sulla sponda di Corpolò. Praticamente era coltivata ovunque ci fossero fosse di acqua del Marecchia, compreso appunto il paese di Santarcangelo. Si irrigava facendo scorrere l’acqua dei fossi che si dipartivano dal Marecchia e che erano usati alternativamente, “a tempo” dai coltivatori e dai mugnai, i cui mulini erano numerosi in questa zona fino agli anni ’40.
Tra i solchi di acqua si coltivavano in file le cipolle, ma anche aglio, rape e fagioli.
Esiste un’interessante documentazione che attesta come per secoli l’utilizzo dell’acqua dei fossi sia stato conteso tra mugnai e contadini. Il nome “cipolla dell’acqua” deriva proprio dal fatto che la sua coltivazione ne richiede tantissima.

Come si consuma

Uno dei modi più tipici e semplici di consumarla è quello di condirla da cruda – perché non ha un sapore pungente –
con olio extravergine d’oliva, aceto di vino rosso e un po’ di sale grosso, magari mescolata con del radicchio, e gustarla dentro a una piadina calda. Alternativamente si può tagliare a spicchi e cuocerli sulla piastra. E’molto versatile, tanto che si usa in ricette salate e anche dolci.

Il tipico contesto di consumo è informale: quello casalingo o della fiera di paese, ma è anche apprezzata e cucinata in molti ristoranti non solo locali.

Slow Food

“Ormai da tempo l’Amministrazione comunale sta portando avanti un percorso di valorizzazione e riscoperta della tipica cipolla dell’acqua di Santarcangelo, con l’obiettivo di preservarne la tradizione e biodiversità – affermano la sindaca Alice Parma e l’assessore al Turismo Emanuele Zangoli – a partire dalle tante iniziative realizzate in occasione delle storiche manifestazioni della città, soprattutto in occasione della fiera di San Michele, quando la cipolla è pronta per arrivare sul piatto”.
“L’entrata a far parte nell’Arca dei cibi slow food è sicuramente un grande passo avanti nel percorso di valorizzazione della cipolla dell’acqua – concludono sindaca Parma e assessore Zangoli – un percorso che proseguiremo anche con la richiesta per la Denominazione comunale d’origine e altre iniziative nel corso dell’autunno e dell’inverno. Queste attività hanno l’obiettivo non solo di tutelare le tipicità del nostro territorio, ma anche di dare ulteriore slancio al turismo enograstronomico di Santarcangelo”.

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